Il 5 febbraio si è celebrata la Giornata nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare, per sensibilizzare l’opinione pubblica sullo spreco di cibo in Italia e nel mondo.
Sono 795 milioni le persone che non hanno abbastanza cibo nel mondo, la maggioranza vive nei Paesi in via di sviluppo, dove la popolazione soffre di denutrizione e un bambino su sei è sottopeso. Un problema enorme se si pensa che in realtà si produce più cibo di quello consumato: si stima che quasi il 40% del cibo totale prodotto nel mondo viene buttato, mentre tre miliardi di persone sulla Terra non possono permettersi un pasto sano ogni giorno, e 250 milioni di persone sono affamate.
Per cibo perso si intendono gli alimenti che non raggiungono i consumatori ma vengono persi durante il trasporto dopo essere stati prodotti: secondo le stime FAO del 2019, circa il 14% del cibo totale prodotto viene perso prima di raggiungere le nostre case.
Mentre per cibo sprecato si intende l’eccedenza prodotta che supera la scadenza o deperisce senza che nessuno ne possa fruire, si verifica quindi durante la fase di distribuzione ed è influenzato da fattori comportamentali; secondo un rapporto dell’UNEP rappresenta il 17% del cibo totale prodotto.
Questa situazione potrebbe essere risolta grazie all’implementazione di strumenti che permettano di individuare le inefficienze lungo la filiera alimentare di produzione e di distribuzione per agire con strategie preventive e correttive.
Ogni anno viene sprecato un terzo del cibo prodotto e, con questa quantità, si potrebbe sfamare per più volte la popolazione denutrita stimata nel mondo.
Con questi presupposti la FAO ha lanciato un’iniziativa globale denominata Save Food, che vede la partecipazione di oltre 900 partner provenienti da organizzazioni internazionali, privati e aziende finalizzata a promuovere la consapevolezza e la messa in atto di strategie di prevenzione contro le perdite e gli sprechi alimentari.
In questi ultimi due anni, la pandemia Covid ha avuto su questo aspetto un effetto positivo: in Italia, ad esempio, secondo il Waste Watcher International Observatory, nel 2020 sono stati buttati 27 chili di cibo a testa, contro i quasi 31 chili del 2019, segnando una riduzione dello spreco del 12%. Una buona notizia, anche se potrebbe essere il risultato di un momentaneo cambiamento delle abitudini alimentari destinato a non durare nel tempo.
Un altro aspetto rilevante è che lo smaltimento dei rifiuti alimentari ha risvolti pensanti sull’economia e sull’ambiente generando 170 milioni di tonnellate di CO2. L’ Italia con circa 5 milioni di tonnellate di cibo sprecate raggiunge una perdita di circa 13 miliardi di euro all’anno e 13 milioni di tonnellate di CO2 emesse, come evidenziato nello studio Surplus food management against food waste.
Ridurre lo spreco alimentare non è quindi solo un problema strettamente correlato al cibo ma uno degli aspetti primari su cui intervenire per contrastare il cambiamento climatico e contenere l’aumento delle temperature, limitando i danni su persone e ambiente.
Proprio per questo, nel 2015, l’ONU e l’UE hanno firmato un accordo finalizzato a dimezzare lo spreco alimentare globale entro il 2030, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile previsti dall’Agenda 2030.
Il primo passo per combattere gli sprechi, anche quelli alimentari, è sicuramente l’informazione: rendere le persone consapevoli di un problema reale stimola il loro processo di cambiamento che, come accade anche per le questioni legate alla crisi climatica, deve partire dalla singola persona se si considera che il 53% dello spreco alimentare in Europa avviene proprio entro le mura domestiche.
Mara Minarelli – socio fondatore Momentumgreen
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