E’ opinione comune che la distruzione della natura da parte dell’uomo sia avvenuta a seguito della rivoluzione industriale, ma ne siamo così sicuri?
Questa teoria è stata sostenuta nel tempo da molti storici e scienziati, come se prima di questo periodo l’umanità avesse vissuto in pace con il mondo naturale perché priva di mezzi per dominarlo.
Il termine “ Antropocene”, coniato nel 2000, è utilizzato in geologia per indicare l’intervallo temporale in cui le condizioni e i processi naturali della Terra sono stati profondamente alterati dall’impatto umano.
Erle Ellis, biologo e membro dell’Anthropocene Working Group, in un’interessante ricerca pubblicata sulla rivista scientifica PNAS, racconta proprio com’è cambiato il rapporto tra uomo e ambiente nel corso della storia evolutiva della nostra specie.
Il risultato è stato piuttosto sorprendente: le attività umane hanno modificato la natura e l’ambiente da molto prima della rivoluzione industriale, si parla di circa 12.000 anni fa.
I dati analizzati dai ricercatori mostrano come, già a quell’epoca, tutte le società umane interagivano con l’ambiente e con il biota (l’insieme degli organismi vegetali e animali che occupano un determinato spazio in un ecosistema) modificandone l’evoluzione, gli ecosistemi e il paesaggio.
Si tratta del fenomeno dell’antropizzazione (in ecologia questo termine indica l’intervento dell’uomo sull’ambiente naturale, allo scopo di adattarlo, trasformarlo e alterarlo, spesso con effetti ecologicamente devastanti, al solo servizio degli interessi umani): ne sono esempi l’agricoltura intensiva, il disboscamento, la costruzione di abitazioni, gli impianti industriali.
Ma di quanto è realmente ‘antropizzata’ la nostra Terra?
Il risultato più scontato è quello relativo al periodo attuale.
Nel 2017, ad esempio, più dell’80% della superficie terrestre risultava trasformato dall’uomo, in maniera così suddivisa:
– il 57% “antromi intensivi”, ambienti i cui terreni sfruttati in maniera intensiva sono molto elevati;
– il 30% “antromi coltivati”, ambienti on cui terreni sfruttati intensivamente è ridotto;
– il 19% “terre selvagge”, ecosistemi completamente liberi da ogni intervento umano.
I risultati di questo studio sono preziosi per la ricostruzione storica di come è mutata la biosfera sotto l’influenza umana: in contrasto con le precedenti ricostruzioni storiche, i dati raccolti mostrano come già 10.000 anni fa le “terre selvagge” coprissero in realtà solo il 27,5% delle terre emerse.
Sembra perciò errata la ricostruzione secondo cui l’impatto umano avrebbe determinato trasformazioni della natura incontaminata in tempi rapidi: i risultati rivelano che la progressiva intensificazione dell’uso dei terreni si è verificata con un processo molto lento e graduale, nonostante la significativa accelerata dalla rivoluzione industriale in poi.
Questo studio smentisce che la specie umana abbia un effetto perennemente distruttivo sul mondo naturale, mostrando invece come modelli culturali basati su un utilizzo consapevole e sostenibile delle risorse possano addirittura avere effetti benefici sugli ecosistemi.
Ad avere un impatto negativo sul mondo naturale non è la generica presenza umana, ma l’attuale sistema di produzione e consumo, che adotta nei confronti della biosfera e di tutte le sue risorse un atteggiamento predatorio.
Tutti gli sforzi per raggiungere gli ambiziosi obiettivi posti dai piani internazionali per la salvaguardia dell’ambiente, conservazione e ripristino degli ecosistemi, non potranno avere successo senza che l’uomo riconosca, accolga e recuperi i profondi legami culturali e sociali proprio con quella biodiversità che vuole proteggere.
Adriano Zucca
socio fondatore di Momentumgreen
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