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I primi giorni di Settembre il National Weather Service aveva previsto che un’ampia fascia della Valle dell’Ohio e della costa orientale degli Stati Uniti sarebbe stata inondata, di lì a poco, da forti piogge, strascico dell’uragano Ida. Una delle aree di maggiore allarme era la città di New York. I funzionari sapevano che stavano arrivando forti piogge, tuttavia i loro preparativi non sono riusciti a salvare la città da morte e distruzione. Nonostante le previsioni si siano rivelate corrette, l’intensità della pioggia li ha colti di sorpresa provocando numerosi decessi soprattutto negli appartamenti seminterrati, spesso abusivi, e nelle stazioni metropolitane.

Negli ultimi anni disastrosi e frequenti eventi atmosferici hanno offerto ai funzionari ripetuti segnali di avvertimento che le infrastrutture e le metropolitane obsolete di New York sono troppo vulnerabili ormai per sopportare le conseguenze di un clima violento e imprevedibile e che si dovrebbe intervenire quanto prima per fortificare la città.
L’intensità delle piogge dei giorni scorsi ha sorpreso anche gli stessi meteorologi che mai avrebbero immaginato una quantità di acqua tale in poche ore: le tempeste che hanno colpito New York hanno anticipato la pianificazione strategica a lungo termine ed i lavori strutturali alla città, rendendoli estremamente urgenti.

Secondo il rapporto OMM (Organizzazione meteorologica mondiale) nell’ultimo mezzo secolo i disastri e i fenomeni estremi provocati dal cambiamento climatico sono stati 11000 causando circa 2 milioni di vittime in tutto il mondo oltre a svariati miliardi di dollari di perdite, numeri destinati purtroppo ad aumentare in futuro.

Secondo i dati Onu, il 90% delle vittime appartiene a Paesi in via di sviluppo, meno preparati a fronteggiare le conseguenze dei disastri ambientali e del cambiamento climatico. Dei 2 milioni di morti in 50 anni, 650.000 sono dovuti a siccità, 577.000 a tempeste e uragani, 59.000 ad alluvioni e 56.000 a temperature estreme, calde o fredde.

La buona notizia è che la media giornaliera dei morti è diminuita nel corso degli anni. Se negli anni ’70 e ’80 ogni giorno in media morivano 170 persone per questi fenomeni, negli anni ’90 il numero si è abbassato a 90, per calare a 40 dal 2010 in poi: un traguardo raggiunto grazie al miglioramento dei soccorsi e dei sistemi di preallerta.

Tantissimo ancora da fare sul piano ambientale per fronteggiare l’allarme alluvioni!
Alcuni esempi:
– limitare l’emissione di gas serra;
– manutenere gli argini dei fiumi e sorvegliarli durante le piene;
– dar più spazio ai fiumi, rimediando agli errori urbanistici del passato e ai problemi climatici di oggi;
– fermare il consumo del suolo: ridurre al minimo le aree cementificate o asfaltate;
– informare gli amministratori, i funzionari e i cittadini su cosa fare in caso di calamità;
– ridurre drasticamente le estrazioni di ghiaia dai fiumi e nelle loro vicinanze;
– prevenire il dissesto idrogeologico;
– creare tetti verdi, giardini e pavimentazioni urbane permeabili.

E, soprattutto, per gli amministratori di tutto il mondo che hanno sottoscritto l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile: mantenere gli impegni presi!
Certo è che non possiamo lasciare solamente nelle mani delle amministrazioni e degli ambientalisti la responsabilità di realizzare infrastrutture e attuare strategie in grado di prevenire le inondazioni urbane.
E’ necessario che ognuno contribuisca personalmente nell’adattarsi ai cambiamenti climatici, diventando parte integrante di una soluzione globale.

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Minarelli Mara
Socio fondatore Momentumgreen

 

 

 

 

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